Intervista 14-3-2017

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    Più di quarant’anni di recitazione, tra cinema e teatro, lavorando con registi quali Mario Martone, Lina Wertmüller, Pupi Avati, Liliana Cavani, Tonino De Bernardi, Nanni Moretti, Paolo Sorrentino e altri. Stiamo parlando di Anna Bonaiuto, uno dei volti importanti del cinema italiano. Abbiamo incontrato l’attrice durante l’edizione 2017 di L’immagine e la parola del Festival del Film Locarno.

    La tua è una lunga e variegata carriera, divisa tra teatro e cinema, campi che richiedono tendenzialmente approcci diversi di recitazione. Una sintesi nella tua filmografia è rappresentata da Teatro di guerra di Mario Martone, dove fai la parte di un’attrice teatrale che passa da una compagnia di teatro commerciale borghese a una di teatro sperimentale. Per te cosa ha significato quel ruolo?

    Anna Bonaiuto: Io vado molto a istinto quando recito, perché probabilmente le informazioni mi sono arrivate prima, da tante cose della vita. Quando ho un personaggio, me lo vedo prima. Poi li ho conosciuti, so cosa fanno. E quindi mi sono trovata in questa situazione dove io non sono né l’una né l’altra in realtà. Perché quel teatro lì, quello più in grande che sui vede nel film, non l’ho mai fatto in realtà. Quello lì… dai… vai… di’ le battute, annamo, andiamo veloci… con questi registi un po’ somaroni, narcisi. Perché io a teatro recitavo con Carlo Cecchi. Quel mondo là non l’ho conosciuto. Il teatro di ricerca, quello che si vede nel film, che Martone aveva fatto, io non l’ho mai frequentato, perché sinceramente tutti quegli esercizi lì con i bastoni… secondo me li fanno i somari perché non hanno l’istinto naturale al tempo, allo sguardo, a che cosa è il corpo, la voce. E io lì dentro, quelle facce che facevo mentre li guardavo erano vere. Dopo le prove abbiamo fatto davvero lo spettacolo su quel testo. Siamo andati in scena con I sette a Tebe. Durante le prove c’era la macchina da presa a riprenderci. Siccome provavamo, pensavamo al testo greco da interpretare. Da una parte ci dimenticavamo della camera. Dall’altra parte io sapevo che c’era, però stavo rilassatissima. Perché dovevo fare tranquillamente l’attrice che dice: “Chi sono questi?”. Loro ovviamente mi vedevano come la vecchia babbiona che viene da un altro teatro. E io li guardavo pensando: “Ma questi sono matti con questi bastoni, dopo voglio vedere come recitano con tanti bastoni”. Ero un po’ cattiva. C’era Marco Baliani, il capo-bastone, un bravo attore, però anche lui veniva da questa cosa educativa, di esercizio, che bisogna lavorarci su. Poi ci sono gli attori che nascono con il corpo, con l’intuito, con la voce, con il talento. Questa è la storia di tutto il teatro.

    Passiamo invece al mondo del reale. Nella tua carriera hai interpretato due personaggi veri, alludo a Ilda Boccassini in Il caimano, e alla moglie di Andreotti in Il divo. In questi casi che lavoro hai fatto? Hai studiato le figure reali?

    Anna Bonaiuto: Per quanto riguarda la Bocassini non mi hanno neanche truccata, tutti capivano che era lei ma senza farne l’imitazione. Mi ricordo che proprio Ilda, che poi è diventata mia amica, mi disse che – quando io guardo Berlusconi/Nanni Moretti negli occhi, e lui non abbassa lo sguardo e non lo abbasso neanche io – lei ha avuto un brivido perché si è riconosciuta. Senza conoscerla, perché non la conoscevo ancora, ho capito che quella era un tipo di donna che non abbassava la testa. La moglie di Andreotti non era una donna che si vedeva, era molto appartata. Mi hanno fatto vedere un’intervista di lei a una festa, di trenta secondi. Si vedeva proprio che era una donna che non voleva parlare, però lo doveva fare perché era la moglie, non le piaceva stare nei salotti con le first lady. Proprio una donna di tutt’altro genere. E dai quei trenta secondi non è che puoi dire: “Ora faccio così”. Ti viene gradualmente. Poi quando mi sono vista la mattina con quella parrucca, con quella plastica sulla faccia, gli occhiali grandi, il tailleur con le spallone, improvvisamente mi sono sentita quel personaggio. Ho camminato in un altro modo. Mi sono seduta in un altro modo. È importante la maschera che tu ti metti da fuori. Noi siamo quello che si vede. C’è la scena di me e Andreotti alla televisione che è diventata cult, anche grazie a Renato Zero. Loro due non dicono una parola ma è come se lei si ponesse improvvisamente una domanda.

    Agli inizi della tua carriera hai lavorato in Virilità con Paolo Cavara, un regista che è stato come una scheggia impazzita nel cinema italiano. Che ricordi hai?

    Anna Bonaiuto: Erano proprio gli inizi della mia carriera, era un film con Turi Ferro e Agostina Belli. Ero appena uscita dall’accademia. Mi hanno dato subito un carattere, la racchia, e mi sono divertita tantissimo. Ero come la strega di Biancaneve, la racchia invidiosa innamorata di qualcuno che guarda a quella bella. Con il regista ci siamo visti solo in quei dieci giorni del film. Una persona molto dolce e sensibile, per bene. Ho delle fotografie con lui di quando siamo andati a vedere i templi di Segesta. La strada di documentarista era quella che amava di più, ma non era produttiva. Forse quel film lo faceva tanto per fare. Comunque è andato bene.

    Ricordo una tua grande interpretazione in Sabato, domenica e lunedì, a teatro, di Eduardo De Filippo per la regia di Tony Servillo, di cui poi è stata fatta una ripresa televisiva da Paolo Sorrentino. Era un’esperienza sensoriale piena perché preparavate davvero il ragù napoletano in scena e in sala si sentiva il forte profumo. Ma lo cucinavi davvero?

    Anna Bonaiuto: Facevo finta, eppure sembrava vero. Quello è stato uno degli spettacoli più belli degli ultimi vent’anni. La gente veniva due-tre volte. C’è chi me ne parla ancora, chi mi ferma ancora. È stato qualcosa di unico, uno spettacolo di tre ore di perfezione.

    Hai lavorato molto anche con Pupi Avati.

    Anna Bonaiuto: Ho fatto due film con lui, Storia di ragazzi e di ragazze e Fratelli e sorelle. Per il secondo ho vinto la Grolla d’oro come migliore attrice. Devo dire che sono dei film molto belli. È un uomo intelligentissimo, coltissimo e che sa lavorare molto bene con gli attori. Lui è uno che sta sull’attore, non va sul video a guardare mentre si recita ma sta dietro la macchina da presa, ti vede veramente in faccia mentre lo fai. È uno dei pochi. Lui nel rapporto con l’attore è stato importante. In Storia di ragazzi e di ragazze ero la madre borghese che non accettava il matrimonio del figlio con una ragazza contadina, una donna distinta col cappellino. Credo che quella fosse la mamma di Pupi, o la nonna. Insomma era una cosa di famiglia.

    Posted 03/14/2017 by Giampiero Raganelli
     
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